Buon Compleanno Fernando Torres: una vita legata al rojiblanco

“Quando ero piccolo, in classe mia, su 25 bambini 24 tifavano Real Madrid, e uno Atletico, ed ero io…”

Questa è probabilmente la frase più inflazionata tra quelle pronunciate da Fernando Torres, ma è allo stesso tempo quella che meglio lo descrive, e che lega con un invisibile filo rosso la sua carriera al colore rojiblanco.

L’Atletico Madrid e il popolo colchoneros lo coccolarono sin da subito quel piccolo niño  arrivato a 11 anni e scoperto da Manuel Briñas, detto, ironia della sorte, il viejo. E Fernando ripagò quell’affetto con valanghe di goal nelle giovanili e con un esordio da record a 17 anni in prima squadra.

Viveva la favola che aveva sempre sognato da piccolo e i supporters sognavano di uscire da un momento non esaltante grazie a un fuoriclasse che era anche uno del popolo. Nel 2007, dopo cinque stagioni, di cui tre da capitano, e 91 goal segnati, tuttavia, Torres per i problemi finanziari del club, ma anche per legittime ambizioni personali, decide di lasciare casa sua e di andare a giocare in Inghilterra, al Liverpool, dove trova la consacrazione.

Sebbene con i Reds non abbia mai vinto un titolo, già al primo anno polverizza due record: 33 reti in una stagione con il Liverpool, superando così Michael Owen fermo a 28 gol e 23 in Premier League, segnando così anche il record di marcature di uno straniero al primo anno nel massimo campionato inglese, appartenuto precedentemente a niente meno che Ruud van Nistelrooy.

Era letteralmente una forza della natura, quando riusciva a partire in progressione i difensori avversari potevano soltanto stenderlo, oppure lui segnava e per usare le parole del noto telecronista Massimo Marianella: Scivolava come un torero sotto la Kop“.



La leggenda del Liverpool, Steven Gerrard in persona, ne tributa la grandezza nella sua autobiografia, “My Story”: “L’attaccante più forte che i miei occhi hanno visto? Vi faccio due nomi. Ronaldo (Il Fenomeno) e… Fernando Torres.” È stato un calciatore fantastico “… poi arrivò quel maledetto infortunio, e da quel giorno non è stato più lui. Lo vedevo depresso, aveva paura di giocare.
Un giorno, dopo che in allenamento si divorò l’impossibile, venne da me e disse: “Non tornerò più quello di prima, non riesco a fare nulla”. Io gli dissi: “Ma che dici Niño? I dottori hanno detto che sei recuperato al 100%, non hai nessun problema fisico. Il vero problema lo hai in testa. Cerca di pensare positivo…”
La sua risposta era sempre la stessa: “Non credo”.
Quelle due maledette parole mi risuonano ancora oggi nelle orecchie. È stato un peccato. Poteva scrivere la storia di questo sport. Nonostante tutto, nel mio cuore lui resterà uno dei numeri 9 più forti mai visti ad Anfield…”

Una serenità che purtroppo per lui non riuscirà a ritrovare al Chelsea, al netto di una Champions League e di una Europa League messe in bacheca, nè tanto meno in un Milan allo sbando, pur riconoscendo in entrambe le esperienze un forte affetto per il supporto datogli dalle tifoserie.

La frase che probabilmente più racchiude quel momento della sua vita è: Il calcio è sempre più legato ai soldi. E questo è davvero un peccato. Molte volte siamo noi calciatori i primi responsabili, promuovendo tutto il contrario dell’umiltà. Ostentiamo. A me non piace questo, per niente proprio”. 

L’unico modo per ritrovare se stesso e fare il figliol prodigo è tornare a casa. E alla corte di Simeone, con tutta l’umiltà che lo contraddistingue, riesce in parte a farlo, trovando anche il suo centesimo goal con l’Atletico e andando a festeggiare abbracciando proprio il “viejo” Manuel Briñas nella commozione generale.

Ora a Fernando non resta che realizzare il suo sogno: alzare al cielo un trofeo importante con la squadra del suo cuore!

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