Per il terzo anno di fila, l’Atalanta si qualifica matematicamente alla prossima edizione della Champions League (o come piace chiamarla a noi, Coppa dei Campioni) con due giornate di anticipo.
I nerazzurri centrano un traguardo che ormai non è più un sogno per i tifosi bergamaschi, essendo divenuto un vero e proprio obiettivo stagionale di una squadra in costante crescita ed evoluzione. Quest’anno la Dea, dopo un inizio altalenante culminato con la partenza di una delle punte di diamante della rosa (“El Papu” Gomez, ndr)), ha saputo velocemente rimettersi in moto nel girone di ritorno, confermandosi come il migliore attacco del campionato; con una partita ancora da giocare, i Bergamaschi hanno infatti realizzato 90 gol in 37 partite.
Quella che fino a qualche anno fa avremmo definito la “Favola Atalanta”, una realtà di provincia i cui valori del lavoro e del sacrificio sono intrinsechi nella città di Bergamo tanto quanto nella squadra che la rappresenta, è oggi una delle poche e solide conferme di un campionato che appare per la prima volta più competitivo, ma al tempo stesso povero di qualità.
Lo dimostra la situazione diametralmente opposta della squadra che più di tutte nell’ultimo decennio si era imposta sulle avversarie: la Juventus.
Nel 2011, con la creazione del nuovo stadio e la rifondazione in toto di società e rosa, i Bianconeri risorsero dalle ceneri dei precedenti settimi posti, aggiudicandosi al termine della stagione il primo dei 9 scudetti vinti consecutivamente (record assoluto nei maggiori campionati europei, eguagliato quest’anno solo dal Bayern Monaco in Germania).
Due dei principali artefici della rinascita bianconera furono, all’epoca dei fatti, Antonio Conte ed Andrea Pirlo. Il primo, oggi, si è confermato nelle vesti di allenatore vincente riportando la Milano nerazzurra alla conquista del campionato; il secondo si è invece cimentato nella prima esperienza da tecnico partendo proprio con la Juventus, ma a Torino tutti convengono sul fatto che il meglio di sé è riuscito a darlo dentro il rettangolo di gioco e non fuori, nell’area tratteggiata. Non solo il decimo scudetto non è arrivato; infatti, per la prima volta dopo un decennio, la Signora rischia di non ottenere un piazzamento in Champions League. Ad una giornata dal termine del campionato in 3 si contendono due posti: il Milan, che ieri a San Siro ha commesso un passo falso clamoroso, pareggiando con il Cagliari; il Napoli, che sulle ali dell’entusiasmo macina gioco e sembra essere la squadra più propensa a concludere la propria stagione con una vittoria, e poi, ovviamente, la Juventus, che per un punto soltanto guarda le rivali dal basso del quinto posto.
Le riflessioni da fare in casa Juve sono tante, forse troppe: è sbagliato attribuire esclusivamente a Pirlo la colpa di questa rovinosa débâcle, essendo un allenatore alla prima esperienza. Per capire quello che vediamo oggi è necessario tornare (almeno) al 2019, quando dopo 5 anni con Massimiliano Allegri, la dirigenza (con Marotta ormai da due anni entrato nell’ambiente interista) ha speso tanto e male sul mercato, senza gli acquisti oculati che per anni hanno contraddistinto la risalita bianconera nell’élite del calcio europeo.
Non c’è mai stato un piano B, una continuazione del progetto post era Allegriana; e a pagarne dazio, oggi, specialmente dopo la polemica causata per la creazione della Super Lega, è una squadra fortissima che nessuno si aspettava di vedere arrancare così in malo modo, nemmeno i suoi peggiori detrattori.
Non ci resta che aspettare di vedere, quindi, come questo campionato volgerà al termine. Nel frattempo, un occhio è puntato alla finale di Coppa Italia, dove si incroceranno proprio Atalanta e Juventus. Per Gasperini e Bergamo, la città simbolo di questa pandemia, alzare la coppa rappresenterebbe un ulteriore premio per aver lottato contro tutto e tutti; per Pirlo e la Torino bianconera, invece, l’ultima spiaggia per salvare quantomeno la faccia.
Mario Nevola
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