Le 5 Mancinate del CT dell’Italia a Marzo 2023

In questi giorni dedicati alla sosta Nazionali, continuano a far discutere alcune scelte del CT azzurro Roberto Mancini, ripartito in autunno con il suo gruppo dopo la cocente esclusione dal Mondiale in Qatar, messa a referto un anno con la sconfitta di Palermo contro la Macedonia del Nord. Cerchiamo di fare ordine, concentrandoci su convocazioni, “caso oriundi“, orientamento tecnico-tattico e mancate chiamate che hanno lasciato a bocca aperta più di un appassionato.

Le cinque “Mancinate” del CT della Nazionale Italiana a Marzo 2023

Dalla discussa chiamata di Mateo Retegui alle mancate convocazioni di calciatori di valore come Zaccagni e Locatelli, passando per la problematica relativa alle caratteristiche degli elementi difensivi, fino ad arrivare alla carenza tecnica del reparto offensivo. Qui di seguito le 5 Mancinate che hanno fatto discutere in questa sosta di marzo 2023:

La convocazione di Mateo Retegui: caos mediatico inevitabile, ma anche tanto rumore per nulla

Mateo Retegui non poteva non far notizia, a maggior ragione in Italia. Pur essendo nato a San Fernando, in provincia di Buenos Aires, è da sempre legato al Belpaese grazie alle origini siciliane del nonno, cresciuto a Canicattì in provincia di Siracusa ed emigrato in età adulta in Argentina. Il classe ’99, che compirà 24 anni il prossimo 29 aprile, ha colto al volo l’occasione, scegliendo l’Azzurro piuttosto che l’Albiceleste: lo ha fatto sia per motivi meramente opportunistici, non avendo grandi chance di rientrare (a breve-medio termine) nei convocati del CT Scaloni, sia per approfittare di una vetrina prestigiosa come il calcio europeo, in una Nazionale attualmente orfana di centravanti di grido. Del resto, nel massimo campionato messicano la visibilità non può che essere ridotta.

Le prime due prestazioni contro Inghilterra e Malta, che hanno portato in dote subito due gol, non devono rappresentare uno specchietto per le allodole. Nel bene o nel male, non è possibile giudicare un calciatore da due partite in tre giorni. Medesimo discorso sarebbe valso se non avesse timbrato il cartellino a Napoli e Ta’ Qali. Allo stesso tempo, non è giusto buttare la croce addosso al ragazzo: quando le cose vanno male, fa sempre comodo criticare o prendersela con la novità, ancor di più se ha qualcosa di “diverso” dagli altri. Abbiamo visto oriundi diventare Campioni del Mondo, non solo nel calcio con Mauro German Camoranesi (lui l’inno nemmeno lo cantava, ndr), ma se il risultato non arriva è lì che torna di moda il tema relativo alla “purezza dell’italianità”. Basti vedere Thiago Motta, esempio citato anche da Gianluigi Buffon nella nota intervista alla Bobo Tv: un fenomeno nell’Inter del Triplete, un brocco nell’Italia uscita al Mondiale contro l’Uruguay perché indossava inopinatamente la maglia numero 10.

Insistere con Simone Pafundi: una forzatura, con il rischio di “bruciare” un ragazzo che non gioca neanche nella Primavera dell’Udinese

Auguriamo a Simone Pafundi ogni bene, nel calcio e nella vita. Partendo da questo assunto, troviamo quantomeno “forzata” la scelta di convocare ancora una volta il talento classe 2006, che ha esordito in “Nazionale A” lo scorso 16 novembre. Il neo 17enne dell’Udinese, cresciuto nel club friulano ma con origini campane, non trova spazio nemmeno tra le fila dei bianconeri, complice la sua carta d’identità: appena 2 presenze quest’anno con la prima squadra di Sottil, ma solo 8 apparizioni anche nel campionato Primavera, dove ha messo a segno 2 gol in 657 minuti giocati.

Centrocampista con caratteristiche offensive, capace di interpretare più ruoli in mezzo al campo al pari di uno come Lorenzo Pellegrini, ha realizzato 6 reti in 14 gare nella passata stagione con la Primavera dell’Udinese. Per esser precisi, da trequartista, vanta nella sua giovane carriera un bottino di 7 marcature e 13 assist in 26 partite. Niente male, davvero. Per molti, Mancini in primis, diventerà il Messi italiano. Noi ce lo auguriamo, con tutto il cuore, ma tempo al tempo. Il coraggio, a volte, rischia di diventare ostentazione.

Si dice spesso che i giovani italiani non giochino abbastanza per mettere esperienza nella testa e nelle gambe, ma è d’uopo ricordare che nell’U21 di Nicolato ci sono attualmente titolarissimi della nostra Serie A come Nicolò Fagioli della Juventus (2001) e Samuele Ricci del Torino (2001), oltre ai vari Locatelli (1998), Miretti (2003) e Baldanzi (2003), con quest’ultimo che probabilmente paga il suo essere trequartista a fronte di una Nazionale maggiore che gioca senza il classico “Dieci”.

Per onestà intellettuale, bisogna anche riconoscere che la mediana azzurra è senza dubbio il reparto più completo e meno bisognoso: le esclusioni, seppur rumorose, e le polemiche hanno sempre caratterizzato le convocazioni di qualsiasi selezionatore, ma ogni carriera è fatta di tappe: alcune si possono bruciare, con talento, impegno e bravura, ma permettere ad un ragazzo così giovane di bruciarle tutte rischia di diventare controproducente.

L’esclusione di giocatori come Mattia Zaccagni: perché sottovalutare numeri e prestazioni del campionato in corso?

Tornando a giocare con il canonico 4-3-3, che ci permise di vincere contro ogni pronostico Euro 2020, è francamente inspiegabile la mancata convocazione di Mattia Zaccagni, vedendo gli altri profili presenti in elenco. O meglio, la decisione si spiega in un batter d’occhio: Zaccagni, per caratteristiche, non piace al CT Roberto Mancini. Eppure, con i suoi 9 gol in campionato (miglior marcatore della Lazio, anche meglio di Ciro Immobile, ndr), sembrava essersi guadagnato di diritto una chance in quel di Coverciano. Così non è stato e non ci sorprenderebbe se ricapitasse ancora.

Considerando il nuovo forfait di Federico Chiesa e il livello espresso sino ad ora dalla concorrenza, con particolare riferimento a Gnonto e (soprattutto) Grifo, è quantomeno paradossale non vedere il classe ’95 biancoceleste tra le fila della Nazionale. Mancini, d’altro canto, è sempre stato molto sicuro delle sue scelte, ripartendo da certezze e giovani talenti sconosciuti ai più. Certe convinzioni, talvolta, possono anche essere scalfite dalla competitività del campionato e dal presente così trasparente di determinate individualità.

Difesa a quattro con calciatori che giocano (prevalentemente) a tre nei club: accantonato il 3-5-2, si è tornati al 4-3-3 con poca convinzione?

Acerbi, Bonucci, Buongiorno, Romagnoli, Scalvini, Toloi, Bastoni (infortunato, ndr), senza dimenticare la duttilità di Darmian e Dimarco. Di questi centrali difensivi, soltanto Alessio Romawgnoli gioca stabilmente in una retroguardia a quattro nella Lazio di Maurizio Sarri. Bastoni, Toloi, Scalvini, Buongiorno, ma anche gli stessi Acerbi e Bonucci, hanno conosciuto la linea a quattro soltanto in Azzurro, evidenziando inevitabilmente lacune o incertezze, pur essendo giocatori di spessore e/o di livello internazionale.

A questo punto, non convocare un ragazzo in grande spolvero come Nicolò Casale (Lazio) potrebbe apparire un errore. Contestualmente, è necessario sottolineare come i top club italiani giochino con pochissimi italiani al centro delle rispettive difese: dal tandem Rrahmani-Kim del Napoli al trio brasiliano della Juventus, fino ad arrivare al terzetto straniero del Milan e ai due terzi della retroguardia della Roma, con Mancini escluso. Oltre alla coppia tricolore della Lazio, solo l’Inter di Simone Inzaghi, in contrapposizione al recente passato, presenta due italiani su tre davanti ad Onana, con Bastoni e Acerbi ormai inamovibili e la costante staffetta Skriniar-Darmian.

Dopo aver vissuto gli anni del famoso “blocco Juve”, tutto ciò rappresenta un segnale preoccupante in ottica futura.

A.A.A. cercasi Federico Chiesa: non c’è un giocatore che faccia la differenza

La retorica dell’era meglio prima non ci appartiene e mai ci apparterrà. Il numero 10 sulle spalle di Willy Gnonto non ci spaventa, né ci sorprende in epoca moderna, quindi è preferibile continuare a parlare di spessore tecnico, costanza di rendimento, dettagli e prospettive. La nostra preoccupazione, infatti, è proprio in prospettiva: Federico Chiesa, decisivo all’Europeo vinto e poi terribilmente mancato nella fase decisiva delle qualificazioni ai Mondiali 2022, deve ancora tornare ad essere il calciatore che tutti conosciamo, pur avendo mostrato lampi del vero Chiesa con la maglia della Juve nella seconda parte della stagione. Il ginocchio, però, non lo lascia del tutto tranquillo e ciò non può far dormire serenamente Roberto Mancini.

L’Italia, senza Federico Chiesa, non ha nessuno che “strappi” e risulti determinante con quel fenomenale cambio di passo in grado di spaccare in due le difese avversarie, dal primo minuto o a partita in corso. Gli scatti e le folate offensive dell’ex Fiorentina, difatti, hanno persino nascosto la mancanza di un bomber là davanti, facendo spesso e volentieri da trait d’union tra centrocampo e attacco, con gol e assist di capitale importanza. Non avendo un vero 10, appunto, la Nazionale dipende da giocatori come Chiesa, le cui qualità riescono a superare la soglia di “normalità” che l’attuale gruppo di Mancini tocca dall’estate scorsa.

Quest’ultima non è un’autentica Mancinata, ma tocca al Commissario Tecnico di Jesi trovare una soluzione che possa colmare vuoti del genere.

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