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Cristian Ledesma a YSport: “Inzaghi buon allenatore, in Serie B sono cresciuto”

“È una questione di fame, di voglia di imporsi”. Parole che sanciscono la distanza fra un calciatore normale e uno di alto livello. Parole, identificabili come filosofia di vita, che ci vengono offerte, appunto, da un uomo che rappresenta in maniera marcata il secondo prototipo di giocatore preso in considerazione. Parliamo di un centrocampista che ha lasciato il segno negli stadi italiani, un giocatore non comune, uno di quelli che fai fatica a trovare facilmente e che servirebbero come il pane a tante squadre. Tutto questo e molto altro è Cristian Daniel Ledesma, ex calciatore di Lecce, Lazio (squadra nella quale ha militato undici anni, diventandone capitano) e Ternana.

Nato a Buenos Aires il 24 Settembre del 1982, Ledesma firma il primo contratto da professionista con il Lecce, trasferendosi in Italia nel 2001. Con i salentini vince il campionato cadetto e approda in serie A. Prestazione e rendimento di altissimo livello lo portano ad essere corteggiato dalla Lazio. Si sposta nella capitale nel 2006 e la lascerà solo nel 2015, prima dell’ultima esperienza da calciatore in Italia con la Ternana. Da lì, diventa l’allenatore della squadra della LUISS, militante in Promozione, pronto ad una nuova sfida da vincere.

Giocatore dotato di tecnica e intelligenza tattica, oltre che quella “garra” insita nel cuore e nella testa dell’uomo sudamericano, colui che più di tutti può fare il pallone oggetto di un racconto romantico e catartico.

Ecco, in esclusiva ai microfoni di YSport, le parole di Ledesma, protagonista di una piacevolissima intervista a 360 gradi: dal racconto del suo trasferimento in Italia e del suo percorso, ad un parere da esperto sul calcio nostrano, passando per i campionati di B e C.

Christian ci racconti di come tu e il calcio vi siete conosciuti e in che modo sei diventato il calciatore che noi oggi conosciamo?

“Sembrerà strano, ma non è la la classica storia che si può immaginare quella che mi ha avvicinato al calcio. Fino a dieci anni giocavo in strada con i miei amici, ma non avevo l’assillo di riuscire a giocare per qualche squadra. E’ stato così anche fino ai quattordici anni, quando ho iniziato nelle giovanili.  Non pensavo che il calcio potesse diventare il mio mestiere. Una volta raggiunta quell’età però, qualche dirigente della mia città mi ha fatto capire che avevo qualcosa in più rispetto agli altri ed è lì che ho iniziato a capire che poteva essere una strada percorribile.”

Dai trascorsi alle giovanili del Boca Juniors, ti sei ritrovato subito al Lecce, squadra con cui hai mosso i primi passi nel calcio italiano. È stato difficile il percorso di adattamento ad un campionato competitivo?

“Io sono arrivato a Lecce a diciassette anni. Le difficoltà, più che al calcio italiano, furono legate alla vita. A quell’età non è semplice cambiare paese, abituarsi ad una nuova lingua soprattutto. La mia fortuna è stata quella di capitare in una città come Lecce che, come penso e dico sempre, è ideale per un ragazzo che arriva dall’estero. Ho trovato un ambiente molto familiare. Per quel che riguarda il campo non è stato invece così difficile.”

Quali sono, a tuo parere, differenze e somiglianze fra calcio italiano e sudamericano?

“La somiglianza, o forse sarebbe meglio dire il pregio, è che per un sudamericano, un argentino nel mio caso, risulta facile, quasi naturale, adattarsi subito al calcio italiano. È una questione di fame, di voglia di imporsi e questo fa sì che i tempi si riducano per abituarsi al meglio ad assorbire le difficoltà. Penso che la somiglianza più grande sia proprio quella riguardante il carattere e il modo di affrontare la vita, oltre che l’aspetto sportivo. C’è da considerare che l’Argentina, ad esempio, è piena di italiani che sono stanziati da tanto tempo ed è anche per questo che si dispone di tante cose in comune.”

Dopo oltre 250 presenze con la Lazio, l’ultima squadra con cui hai militato è la Ternana. Come è stato per te, dopo tanta esperienza ai massimi livelli, affrontare il campionato di serie B?

“Affrontare il campionato di serie B è stato bello. Un’esperienza nuova, anche se avevo già affrontato un campionato di B con il Lecce vincendolo ad inizio carriera, ma erano altri tempi. Il difficile, più che alla B, è abituarsi alla mentalità dei ragazzi di oggi che hanno sicuramente una percezione diversa rispetto ai più esperti. Non so se tale percezione sia migliore o peggiore, ma hanno un modo di accettare le cose sicuramente differente. Affrontare la serie B non è stato un problema anzi, penso sia stato un ulteriore arricchimento a livello personale.”

Nel 2017 ha affrontato da avversario il Benevento, che in quell’anno avrebbe poi conquistato la storica promozione in A. Che ricordo hai di quella squadra e del Ciro Vigorito?

“Quando venni a giocare a Benevento, lo stadio mi fece davvero una bella impressione, non solo per la struttura e la cornice di pubblico, ma anche per il manto erboso. Mi ricordo molto bene di quella partita, probabilmente non meritavamo di perdere perché mettemmo l’anima e perché loro non attraversavano un momento felicissimo, però nonostante ciò si percepiva che quella squadra avesse qualcosa in più di noi e delle altre, a livello tecnico e di carattere. Era una squadra al di sopra di altre che si potevano definire “normali”. Già allora si poteva notare l’importanza della società.”

Adesso il Benevento è considerato una delle favorite alla vittoria del campionato. Al timone c’è Filippo Inzaghi, che hai affrontato tante volte da giocatore in passato. Che idea hai dell’Inzaghi allenatore?

“Inzaghi è un buon allenatore. Io, però, penso che debba ancora far capire bene cosa lui voglia come allenatore dalle sue squadre. Perché chiaramente si trova in un percorso di crescita e ci vuole del tempo. Si è ritrovato subito al Milan, una proposta che non poteva rifiutare, ma ha avuto la sfortuna di farlo in un momento estremamente complicato. Ha fatto molto bene con il Venezia, ma poi ha ritrovato delle difficoltà a Bologna. Penso che del Filippo Inzaghi allenatore ci sia ancora molto da scoprire, soprattutto nel bene, perché è un percorso che richiede tempo e pazienza.”

Oltre al Benevento, ci sono tante altre squadre che in questo momento sognano il salto di categoria. Negli ultimi anni, abbiamo visto come  il campionato di B è diventato sempre più equilibrato e imprevedibile. Quali sono le motivazioni principali secondo te?

“A mio parere, il livello attuale del campionato di serie B in generale  non è altissimo e questo po’ equilibrare i valori. Ricordo appunto l’anno di cadetteria affrontato al Lecce, dove c’erano davvero squadre allestite con giocatori di altissimo livello, con le quali era difficile lottare. È un campionato lungo e per vincerlo serve continuità, perché la classifica è talmente corta che basta un piccolo filotto di gare positive o negative per ritrovarsi avanti o dietro in classifica.”

Quali sono i progetti e le ambizioni del Ledesma allenatore?

“Io oggi percorro due strade: abbiamo creato questa scuola calcio, la Ledesma Academy e poi mi ritrovo ad allenare la Luiss in Promozione, perché è un progetto che mi ha destato particolare impressione e mi ha fatto percepire che fosse la strada giusta per iniziare la mia carriera di allenatore. Io non guardo troppo oltre, il futuro è immediato e per me è importante il mio lavoro da svolgere qui adesso. Anche perché è la prima esperienza e ci tengo a far bene.”

Il ricordo più bello che hai legato al calcio italiano?

“Il ricordo più bello che ho legato al calcio italiano? L’esordio con il Lecce, la firma sul contratto da professionista, il ricevere la telefonata del direttore sportivo Pantaleo Corvino.”

Si ringrazia Cristian Ledesma per la disponibilità.

Intervista di Pietro Dello Monaco

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