Così, No.
Si può perdere, fa parte del gioco, ma non si può perdere così. Il 4-1 di Fregene rientrava tra quelli che mediaticamente amiamo definire “incidenti di percorso”, ma il 3-0 maturato ieri a Civita Castellana contro la Flaminia Calcio non può che essere definito un preoccupante campanello d’allarme. Seconda sconfitta consecutiva in trasferta per l’Avellino di Graziani, nessuna autentica palla gol creata e una difesa che fa acqua da tutte le parti, come testimoniano gli 8 gol subiti nelle ultime tre partite.
Over e Under, anziani e meno anziani, devono capire una cosa (prima che sia troppo tardi): non indossano una maglia qualsiasi. Chi veste i colori biancoverdi e porta quel Lupo cucito all’altezza del cuore, deve obbligatoriamente sputare sangue e onorare quella gente che anche ieri non ha smesso di cantare nemmeno per un secondo. Al di là del risultato, al di là di ogni limite tecnico di una rosa allestita in poco più di due settimane.
Partiamo da un dato di fatto: l’Avellino ora è terza a meno tre dalla vetta della classifica, occupata da un Trastevere che non sembra avere intenzione di fermarsi. Nel mezzo, quel Lanusei uscito sconfitto dal Partenio-Lombardi proprio domenica scorsa, quando gli irpini erano riusciti a portare a casa in modo “sporco” un risultato importantissimo per riportarsi in testa alla graduatoria del Girone G. Anche nell’ultimo weekend, così come al “Madami” di Civita Castellana, il “tifoso medio” non aveva fatto fatica a cogliere le evidenti lacune difensive e la sterilità di un gioco che stenta a decollare (per usare un eufemismo) in casa Avellino.
Alibi e responsabilità. Mancavano i due centrocampisti centrali da cui prescinde lo sviluppo della manovra biancoverde e la fase di interdizione: in poche parole, mancavano Gerbaudo (squalificato) e Matute (infortunato). Nonostante un discreto approccio e la costante spinta di Tribuzzi (unico a salvarsi) e Parisi, la coppia Acampora-Buono non riesce a dare geometrie e garanzie in mezzo al campo nel corso dei 90 minuti, durante i quali Graziani non pesca la “carta” giusta in panchina. L’ingresso di Ciotola non accende l’Avellino, il problema fisico di De Vena toglie peso offensivo davanti e la difesa a tre (abbastanza “improvvisata”) che nel finale sà solo di un “tutti all’arrembaggio”, inutile ai fini del risultato.
Una “coperta corta” che dovrà essere arricchita dal lavoro del ds Musa e del patron De Cesare a partire dal primo dicembre.
A proposito della società: non iniziamo coi vari “era meglio Preziosi”, “perchè il Sindaco non ha dato la squadra a quell’altra cordata!?”, “De Cesare metti mano ‘a sacca!”, e chi più ne ha più ne metta. Perchè questo è stato il tono dei commenti arrivati (a caldo) sulla comunità di Avellino YSport nel post partita. Siamo in Serie D e (probabilmente) facciamo ancora fatica ad accettare tutto ciò. La pazienza dei tifosi è poca, così come la “soglia di sopportazione”, ma è inutile sparare sentenze all’ottava giornata dopo settimane convulse e un organico messo su tra mille problematiche.
È chiaro, ci si aspetta una reazione rabbiosa, di cuore, già domenica, quando alle 14 approderà sul sintetico del Partenio-Lombardi un Sassari Latte Dolce che va preso con le molle, senza lasciarsi ingannare dal nome alquanto curioso. Graziani ha delle responsabilità importanti, inutile girarci intorno, e come ogni allenatore dipende quotidianamente dai risultati della sua squadra: Sassari e Monterosi rappresentano un crocevia fondamentale per la stagione dei Lupi e per il prosieguo dell’avventura del tecnico carrarese sulla panchina biancoverde.
Comprensibile, per certi versi “giusta”, la contestazione finale dei circa 200 irpini giunti a Civita Castellana. Il coro che risuona (e deve risuonare) nella mente dei giocatori di Graziani è quel “Fuori le P***e” lanciato a fine gara, per svegliare una squadra apparsa spenta nelle gambe e nell’animo sia a Fregene che nel secondo turno infrasettimanale stagionale. Perchè nel calcio si può perdere, ma conta “come” lo fai.