Analisi Cittadella-Benevento 0-1: cambiano gli uomini, non il risultato

È proprio il caso di dirlo, cambiando l’ordine degli addendi il risultato non cambia. Proprietà commutativa dell’addizione, proprietà perfettamente applicata dal Benevento, che al netto di tante variazioni di formazione porta a casa l’intera posta in palio, espugnando Cittadella. Tre, il risultato è sempre quello, come quello che è il numero perfetto, come tre sono altri pesanti punti che la Strega mette in cascina, tre come il numero di vittorie consecutive.

È un Benevento “machiavellico” quello che fa suo un match tosto e scorbutico. Perché se è vero che “il fine giustifica i mezzi”, una conferma arriva ieri dai giallorossi. Squadra che si cala in quello che la partita proponeva e attendeva. Un match giocato sui nervi, sulla concentrazione; sull’agonismo e sui contrasti che hanno il sopravvento sulla tecnica e sulle trame fluide di gioco. Una partita maschia, che non rispecchia le caratteristiche propriamente familiari alla filosofia di Bucchi e del Benevento visto fino ad oggi.

Tuttavia è proprio questo indice di altro ottimismo; perché in quel di Cittadella si è scoperto anche il lato più operaio della squadra sannita, quella pronta a vestire i panni umili per portare a termine il proprio compito, quella che dimostra di saper interpretare a meraviglia il tipo di partita che le si viene messa difronte. Il Cittadella l’aveva immaginata così; forse come tentativo rivoluzionario di imbrigliare un avversario tanto temuto in un contesto inaspettato. L’amara sorpresa è invece servita alla truppa di Venturato che finisce per rimanere essa stessa vittima della propria trappola, pensando più ad innervosire il match che concretamente provare a costruire una partita fondata su quelle che poi sono le capacità anche buone sia tecniche che tattiche della squadra veneta.

Il Benevento si è mostrato con l’abito non migliore, quello non elegantissimo a vedersi, ma quello essenziale, quello da “garra” in una partita dove non c’era spazio per colpi di fioretto o entrate in punta di piedi.

Un abito perfettamente indossato dai vari Nocerino, Del Pinto, Volta e Billong spina dorsale di ieri che merita una menzione; i primi due capaci di recuperare quantità di palloni in mezzo al campo elevatissime, schermando e aiutando la fase difensiva in modo quasi impeccabile. Gli altri due piacevolissima scoperta di una coppia difensiva forse nemmeno considerata ad inizio anno, per via dell’imminente partenza del francese mai concretizzata e che per via di defezioni ha guadagnato il posto da titolare. Due prestazioni di spessore da sottolineare in quattro giorni, altro 0 alla voce gol subiti  e un’atteggiamento da combattenti.

Combattenti, che sembra parola d’ordine di un gruppo sostanzialmente nuovo ma che sembra insieme da qualche anno, che lotta insieme, per un obbiettivo comune. Chi in campo, chi in panchina. Ed è anche per questo che mister Bucchi non vuol sentire termini come turnover, in una visione globale di squadra che prevede la partecipazione attiva di tutti gli elementi che se lavorano con abnegazione e passione avranno il giusto spazio per poter dare il loro contributo.

Del resto se un gruppo è unito lo si vede subito; lo si vede dall’atteggiamento di chi va in panchina e quando viene chiamato in causa entra come se volesse spaccare il mondo, lo si vede dal modo di esultare insieme a un compagno. Non pensate siano cose banali.

Il Benevento di ieri sera portava in campo ben sette cambi rispetto al vittorioso derby con la Salernitana. E il plauso, come ribadito anche da Puggioni nel post partita, è tutto per chi ha saputo mettere in mostra la stessa mentalità battagliera e vincente di chi ha riposato, magari con caratteristiche diverse.

Prerogative che poi conducono, comunque, nella direzione principe di questo Benevento: un DNA spiccatamente offensivo che negli spazi può diventare batterio letale. Come letale è stata la ripartenza che ha portato al secondo gol consecutivo di Asencio (una prestazione da incorniciare, da attaccante navigato), un lampo di qualità che poi ha fatto la differenza.

Quattro passaggi per arrivare dalla propria area di rigore a quella avversaria, Del Pinto che avvia la ripartenza su una palla contesa, Asencio che la gira a Insigne che guida la sfera fino ai 20 metri dove ritrova con una traccia centrale lo stesso Asencio che con stop orientato fa fuori il suo diretto avversario e scarica una rasoiata a fil di palo per il match point. Un’azione che sembra semplice, ma bellissima nella sua essenzialità e perfezione di esecuzione, una firma unica che doverosamente ha fatto la differenza.

Come se fosse destino scritto, vedendo le due-tre occasioni bruciate dal Benevento in ripartenza, forse unica lieve nota amara, meritevoli di più concretezza, che hanno tenuto in ballo la partita fino al 96’ quando Finotto, in girata di testa, stava per scrivere un finale diverso che ci avrebbe fatto parlare anche di altro.

Il fortino del Cittadella è espugnato per la prima volta dai giallorossi, impresa portata a termine con umiltà, spirito di sacrificio e sudore. Perché il Benevento possiede anche questo, elemento che fa fa diventare una squadra forte, una squadra grande.

(Immagine di copertina di Mario Taddeo)

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